Shunga: l’arte erotica giapponese
Nella cultura occidentale, quando si parla di sessualità in Giappone si pensa ad una cultura appesantita da ruoli di genere “tradizionali”, pudicamente avversa alla visione o alla discussione in pubblico di tutto ciò che riguarda il sesso. Il Giappone tuttavia è anche il luogo dove le persone leggono fumetti manga pornografici in metropolitana, o comprano mutandine usate nei distributori automatici… Un Paese dunque di mille contraddizioni.
Nel XIX secolo, le società occidentali hanno legittimato il loro fervore colonialistico nei Paesi orientali ritenendo questi ultimi inferiori dal punto di vista culturale. A partire dal 1860 dunque i governanti e gli intellettuali giapponesi si sono impegnati a scongiurare la minaccia di colonizzazione, anche accettando di divenire sempre più simili agli occidentali. In questo modo hanno però rinunciato alla loro cultura.
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Il genere delle xilografie erotiche chiamate shunga (春 画) o “immagini di primavera” (eufemismo della sessualità), popolarissimo nella prima età moderna ( 1600-1868 ), divenne per un lungo periodo una sorta di imbarazzo per il popolo giapponese che aveva ormai completamente interiorizzato le idee occidentali di “morale” e di “pornografia”. Le stampe divennero un “tabù” in Giappone per quasi un secolo, come annunciava la pubblicità di una mostra shunga presso il British Museum: solo di recente queste stampe sono state riscoperte ed apprezzate come parte del patrimonio culturale del Giappone.
L’arte Shunga si pensa sia nata in Cina, ispirandosi alle illustrazioni di manuali di medicina durante l’epoca Muromachi (1336-1573), in cui si tendeva ad esagerare le dimensioni dei genitali. Questo stile pittorico fu fortemente osteggiato da numerosi editti governativi che ne vietavano la produzione e la diffusione, ma con risultati piuttosto limitati, visto che quest’arte continuò a diffondersi per lungo tempo e vi furono artisti molto quotati nel genere, come Utamaro e Hokusai.
Le immagini erotiche venivano diffuse in fogli singoli oppure sotto forma di libri, o anche attraverso il kakemono, un rotolo singolo, con un alto valore di mercato, tanto che l’artista che riusciva a venderne uno poteva vivere di rendita per sei mesi.
I personaggi più frequenti ritratti nell’arte Shunga sono geishe e prostitute ed i temi riguardano tutte le varie espressioni sessuali, per tutti i gusti, ivi compresa la zooerastia (animali). Una particolarità che può colpire l’osservatore occidentale è che queste figure, impegnate in atti erotici, non sono mai nude, ma vestite: questo è spiegabile con il fatto che c’era una certa abitudine a frequentare terme e bagni pubblici, dove la nudità era la norma. Le figure vestite apparivano dunque più erotiche.
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Queste immagini servivano per insegnare l’educazione sessuale ai giovani inesperti, ma anche alle prostitute, per eccitare i clienti. Inoltre, erano ritenute dei portafortuna.
Oltre alla cultura occidentale, contribuì ad uccidere l’arte Shunga anche l’introduzione della fotografia. Paradossale è il fatto che mentre il Giappone cercava di nascondere a sé stesso queste produzioni artistiche della propria cultura, in Occidente si cominciò a collezionare le stampe Shunga e molti famosi pittori (Lautrec, Beardsley, Sargent e Picasso) trassero proprio da esse la loro ispirazione.
Dr. Giuliana Proietti
Fonti:
Sex in Japan: A global history perspective, Notchesblog
Shunga: sex and pleasure in Japanese art, British Museum
Shunga, Wikimedia
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Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
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● Co-fondatrice dei Siti www.psicolinea.it, www.clinicadellacoppia.it, www.clinicadellatimidezza.it e delle attività loro collegate, sul trattamento dell’ansia, della timidezza e delle fobie sociali e del loro legame con la sessualità.
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