Quando gli uomini si vendevano le mogli
I fatti di cui parliamo si svolsero in Inghilterra fra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo, quando il divorzio era proibito (o molto difficile da ottenere), per cui le classi popolari presero l’abitudine di risolvere la cosa in un modo che oggi sembra abbastanza curioso: quello di vendere la moglie a qualcun altro. (Ovviamente le donne non potevano usare lo stesso metodo nei confronti del marito).
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La vendita delle mogli fa da sfondo al romanzo di Thomas Hardy, del 1886, Il sindaco di Casterbridge, in cui il personaggio principale vende sua moglie all’inizio della storia, un atto che poi lo perseguita per il resto della sua vita e alla fine lo distrugge.
Sebbene l’usanza non avesse basi legali e spesso sfociasse in procedimenti giudiziari, in particolare dalla metà del XIX secolo in poi, l’atteggiamento delle autorità era equivoco: almeno un magistrato dell’inizio del XIX secolo dichiarò, ad esempio, di ritenere di non avere il diritto di intervenire per impedire questo particolarissimo tipo di compravendita.
La vendita delle mogli è persistita in Inghilterra, in qualche forma, fino all’inizio del XX secolo; secondo il giurista e storico James Bryce, che scriveva nel 1901, la vendita delle mogli avveniva ancora, occasionalmente, ai suoi tempi. (Uno degli ultimi casi segnalati fu quello di una donna, che testimoniò presso il tribunale di Leeds, nel 1913, dicendo di essere stata venduta a uno dei compagni di lavoro di suo marito per una sterlina).
L’usanza può sembrare abbastanza stravagante al giorno d’oggi, ma non lo era allora: gli storici non sono d’accordo su quando o come sia iniziata questa usanza e quanto fosse effettivamente diffusa, ma sembra certo che la sua funzione sociale era quella di offrire una forma alternativa di divorzio, e che era comunemente accettata tra i britannici delle classi inferiori.
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Dopo aver annunciato la vendita, l’uomo metteva una corda intorno al collo, al braccio o alla vita della moglie e la conduceva al “mercato” (un mercato vero e proprio o un altro luogo pubblico). Quindi, la metteva all’asta, spesso dopo aver dichiarato le sue virtù agli spettatori: una volta acquistata da un altro uomo, il precedente matrimonio era, dal punto di vista sociale, e non legale, considerato nullo, e il nuovo acquirente diventava economicamente responsabile della nuova moglie, di cui l’ex marito non voleva sapere più nulla.
La natura pubblica della vendita chiariva a tutti che il venditore rinunciava a qualsiasi diritto sulla moglie (compresi i beni di lei, che in quel periodo erano gestiti dal marito). In tutto questo, sembra impossibile, ma c’era un vantaggio anche per la moglie, se per caso lei aveva tradito il marito: essere venduta evitava che il marito citasse l’amante in giudizio per “conversazione criminale”.
Di solito, a comprare la donna in vendita era il suo nuovo amante. “Attraverso la vendita”, scrive la studiosa di diritto Julie C. Suk, “il primo marito estorceva una tangente all’amante della moglie, in cambio della rinuncia alla sua causa civile per una conversazione criminale”. Quando non c’era un acquirente designato, la moglie veniva messa all’asta e data al migliore offerente. Gli uomini potevano annunciare la vendita di una moglie senza informare l’interessata e questa poteva essere offerta anche a sconosciuti.
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Anche l’umiliazione pubblica giocava un ruolo. Trattare la moglie traditrice come un capo di bestiame, annunciando il suo peso in pubblico e barattandola come un animale da fattoria, sembrava soddisfare il risentimento di molti mariti traditi.
Come poteva accadere tutto questo?
Il atto è che, fino all’approvazione del Marriage Act del 1753, non esisteva una cerimonia matrimoniale e i matrimoni non erano registrati. Tutto ciò che era richiesto era che entrambe le parti accettassero il matrimonio, e che ciascuna avesse raggiunto l’età legale per il consenso, che era di 12 anni per le ragazze e 14 anni per i ragazzi. Le donne erano completamente subordinate ai loro mariti dopo il matrimonio: marito e moglie diventavano un’unica entità legale, uno status legale noto come coverture.
L’eminente giudice inglese Sir William Blackstone scrisse nel 1753: “l’essere stesso, o l’esistenza giuridica della donna, è sospesa durante il matrimonio, o almeno si consolida e si incorpora a quello del marito: sotto la cui ala, protezione e copertura, essa compie tutto”. Le donne sposate non potevano possedere proprietà a pieno titolo, ed erano effettivamente esse stesse proprietà dei loro mariti.
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Sebbene i tribunali per il divorzio istituiti sulla scia della legge del 1857 rendessero la procedura notevolmente più economica, il divorzio rimase proibitivo per i membri più poveri della società. Non vi sono testimonianze di donne del XVIII secolo che si siano opposte o abbiano resistito alla loro vendita, anche se alcune testimonianze dicono che quando la situazione matrimoniale era insostenibile, le donne stesse speravano di essere vendute, per cercare di migliorare la loro condizione.
Verso la metà del 19° secolo si credeva che la vendita delle mogli fosse limitata ai livelli più bassi della società e interessasse solamente comunità di braccianti, specialmente quelli che vivevano in aree rurali remote, ma un’analisi delle occupazioni dei mariti e degli acquirenti rivela che l’usanza era più forte nelle “proto- comunità industriali”. Dei 158 casi in cui è possibile stabilire un’occupazione, il gruppo più numeroso (19) era coinvolto nel commercio di bestiame o nei trasporti, quattordici lavoravano nell’edilizia, cinque erano fabbri, quattro spazzacamini e due erano descritti come gentiluomini, suggerendo che la vendita della moglie non fosse semplicemente un’usanza contadina. Il caso più importante fu quello di Henry Brydges, II duca di Chandos , che si dice abbia comprato la sua seconda moglie da uno stalliere intorno al 1740.
I prezzi pagati per le mogli variavano considerevolmente, da un massimo di 100 sterline fino al minimo di un bicchiere di birra, o addirittura gratis.
In alcuni casi, come quello di Henry Cook, nel 1814, le autorità della Poor Law costrinsero il marito a vendere la moglie piuttosto che dover mantenere lei e suo figlio nell’ospizio di Effingham . La donna fu portata al mercato di Croydon e venduta per uno scellino, mentre la parrocchia pag il costo del viaggio e una “cena di nozze”.
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Nel Sussex, locande e pub erano un luogo abituale per la vendita delle mogli e spesso l’alcol faceva parte del pagamento. La vendita pubblica delle mogli era frequentata da grandi folle. Una vendita del 1806 a Hull fu posticipata “a causa della folla che si era radunata per un evento così straordinario”, suggerendo che in quel tempo questi eventi erano relativamente rari e quindi popolari.
Insieme ad altre usanze inglesi, i coloni che arrivarono nelle colonie americane tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo portarono con sé la pratica della vendita della moglie e la convinzione della sua legittimità come metodo per porre fine a un matrimonio.
I rapporti sulla vendita delle mogli aumentarono da due per decennio negli anni Cinquanta del Settecento, a un picco di cinquanta negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Con l’aumento del numero di casi, aumentò anche l’opposizione alla pratica, che veniva vista dall’élite sociale credeva fosse una pratica disgustosa e vergognosa.
Fu solo negli anni ’40 dell’Ottocento che il numero di casi di vendita delle mogli iniziò a diminuire in modo significativo. Thompson scoprì 121 rapporti pubblicati di vendite di mogli tra il 1800 e il 1840, rispetto ai 55 tra il 1840 e il 1880.
Il caso più recente di vendita di una moglie inglese è stato segnalato nel 1913, quando una donna che testimoniava in un tribunale di polizia di Leeds durante una causa di mantenimento affermò che suo marito l’aveva venduta a uno dei suoi compagni di lavoro per una sterlina.
Dr. Walter La Gatta
Festival della Coppia - La terapia di coppia dopo un tradimento
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